Quando pensiamo a quelle che sono le 1 + 8 emozioni di base (rasa) secondo la concezione indiana estetica e filosofica, ovvero
l’amore – śṛṅgāra
la meraviglia – adbhuta
il coraggio – vīra
la compassione – karuṇa
l’allegria – hāsya
la paura – bhayānaka
la rabbia – raudra
la repulsione – bībhatsa
scopriamo che śānta – l’emozione del non provare emozioni, il piacere che deriva dalla cessazione del desiderio, lo stato in cui l’incantesimo del mondo si rompe e che apre le porte alla liberazione, mokṣa – appare ai più, nelle sue manifestazioni, come una noia mortale.
Se osserviamo l’atteggiamento generale alla fine di una lezione improntata alla concentrazione tranquilla e quello alla fine di una lezione in cui proponiamo archi, verticali, e posizioni percepite come ‘sfide’ ci accorgiamo che abbiamo suscitato almeno qualcuno degli 8 rasa estetici, e che difficilmente riusciamo a riportare le emozioni verso śānta.
Qualche minuto in ‘śavāsana’ non spazza via i rasa.
È anche per questo, sicuramente incapacità mia almeno in parte, che sono sempre molto riluttante a inserire posizioni sfidanti nella pratica che propongo regolarmente.
Non si tratta (solo) del fatto che non tutti i corpi riescono ad affrontare tutte le posizioni nella loro forma completa, ma soprattutto del fatto che riuscire a far emergere śānta da śirṣāsana è difficile.
Allora, in quelle lezioni, mi concentro sugli altri rasa, e considero di non stare proponendo una pratica Yoga, ma una pratica estetica.
In un momento dell’anno, come la primavera, dove comunque le altre emozioni si stanno risvegliando.