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L’applicazione rituale dello Yoga

Recentemente ho letto su internet un articoletto interessante. Raccontava di come l’impulso a pulire casa assalga molte persone, quando si trovano in una situazione di stress, e di come questa azione abbia un potere calmante nel suo reintrodurre una dimensione rituale.

È un’interpretazione a mio parere condivisibile e mi ha portato a tornare sul discorso del potere del rituale anche nella pratica dello Yoga, ma prima di questo vorrei soffermarmi sul fatto che nella nostra cultura il rituale è generalmente accettato solo se legato a situazioni di culto religioso, mentre in altri contesti viene stigmatizzato come un disturbo del comportamento, quando in realtà è spesso presente nelle nostre vite senza che ce ne rendiamo conto a livello consapevole.

Tutti da bambini abbiamo camminato su marciapiedi in pietra cercando di non toccarne i bordi, e riuscire in quest’opera ci ha tenuto la mente occupata e donato serenità.

Da adulti ci svegliamo ed eseguiamo una serie di azioni come prepararci il caffè, lavarci i denti, stirare una camicia, in un ordine preciso. Quando per motivi contingenti questo ordine di eventi è alterato, usciti di casa ci accorgiamo di aver dimenticato qualcosa, un documento, un oggetto, e osserviamo che l’esecuzione dei gesti quotidiani nel nostro rituale personale ci aiuta invece a prepararci per la giornata.

Dove voglio arrivare? Possiamo girarci intorno finché vogliamo, ma la creazione di rituali fa parte della nostra natura più intima, ha un potere calmante ed allo stesso tempo facilita la concentrazione. Anche se istintivamente molti di noi vorrebbero credersi liberi da qualsiasi vincolo ritualistico, nella realtà li creiamo senza esserne coscienti.

Credo che parte del ‘potere’ della pratica dello Yoga, e in particolare dell’approccio vinyasa, risieda proprio nel suo creare una situazione di rituale, sia che pratichiamo a casa, sia che ci rechiamo regolarmente a lezione.

Una delle traduzioni della parola viniyoga è quella di applicazione rituale, e così il viniyoga dello Yoga diventa l’applicazione rituale dello Yoga. Anche se l’accezione più comune del termine è quella di applicazione progressiva (la troviamo anche negli Yoga Sutra con questa interpretazione, relativa al processo meditativo) trovo che pensare alla pratica come ad un rituale spieghi molto bene l’effetto calmante e focalizzante che essa ha.

Ripetere ogni giorno la stessa sequenza, o sequenze diverse ma in uno schema che diventa gradualmente più familiare, diventa un rituale che apre la mente verso altre prospettive, slegate dal corpo.

Impariamo cosa aspettarci dalle azioni che compiamo, impariamo ad aprire la mente ed il cuore oltre quella che è la mera esecuzione di gesti ripetuti.

Il fatto di unire respiro e movimento secondo alcune regole e non altre diventa parte di un rito. Le sequenze tendono ad avere una struttura abbastanza definita, ma piccole variazioni fanno sì che l’esperienza cambi drammaticamente a livello sottile.

Nel vinyasa il modo in cui entriamo ed usciamo dagli āsana è altrettanto se non più importante dell’āsana stesso. Non è un caso che la maggior parte delle volte, quando ci si fa male praticando yoga, questo avvenga nei movimenti che conducono alla posizione finale e nei movimenti di uscita. La fretta di arrivare fa sì che il percorso venga sottovalutato.

Nell’approccio viniyoga invece il percorso è fondamentale. Anche in questo troviamo gli elementi di un rituale, la preparazione diventa oggetto di meditazione, lo svolgimento corretto diventa un obiettivo a cui dedicarsi con dedizione. Ovvio che al termine dello svolgimento ho ottenuto un risultato (l’āsana) ma la preparazione, le modalità di approccio e di conclusione della sequenza hanno un impatto fondamentale sul risultato energetico.

L’abilità dell’insegnante sta nell’alterare l’ordine usuale per creare effetti diversi, nel cambiare le modalità con le quali entriamo nell’āsana, nel ‘muovere’ il rituale verso livelli più profondi e spesso proprio per ricordarci che il rituale non deve diventare, mai, un’azione meccanica.

Solo così il rituale mantiene il suo potenziale meditativo, quando lo eseguiamo essendo presenti, con la mente focalizzata e ferma, non pensando a quanto ci aspetta dopo la pratica ma vivendola istante per istante.

 

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